Inadempimento dell’obbligo di denuncia del sinistro e perdita dell’indennizzo (artt. 1913 e 1915 c.c.)

Inadempimento dell’obbligo di denuncia del sinistro e perdita dell’indennizzo (artt. 1913 e 1915 c.c.)
14 Settembre 2017: Inadempimento dell’obbligo di denuncia del sinistro e perdita dell’indennizzo (artt. 1913 e 1915 c.c.) 14 Settembre 2017

Le cause del nostro studio

L’art. 1913 c.c. prescrive un preciso obbligo a carico dell’assicurato: la denuncia del sinistro entro 3 giorni da quello in cui si è verificato ovvero da quello in cui l’assicurato ne abbia avuto conoscenza.

Si tratta di un obbligo ispirato al principio di correttezza e finalizzato a consentire all’assicuratore di accertare se  l’indennizzo sia dovuto, nonché l’entità del danno, oltre che ad evitare la dispersione di prove ed indizi ed a limitare le conseguenze dell’evento dannoso.

Proprio per la sua importanza, tale obbligo viene sempre riportato nelle condizioni generali di assicurazione e sottoposto, in sede di stipula della polizza, alla dichiarazione di conoscenza e all’approvazione specifica ai sensi degli artt. 1341 e 1342 c.c..

Tuttavia, può accadere che l’assicurato denunci tardivamente all’assicuratore il sinistro verificatosi o che  addirittura ometta di presentare la denuncia di sinistro.

In tutti questi casi, all’assicurato che promuova un’azione giudiziale per ottenere di essere indennizzato del danno a termini di contratto, potrebbe essere opposta l’eccezione di decadenza prevista dall’art. 1915 c.c..

Però, non ogni inadempimento dell’obbligo di denuncia del sinistro avrà come conseguenza la perdita del diritto all’indennità assicurativa, bensì solo quello di natura “dolosa”.

In ambito civile, però, il concetto di dolo assume connotati completamente differenti rispetto a quelli che gli sono propri in sede penale.

Ai sensi dell’art. 43 c.p., infatti, il dolo è costituito dalla rappresentazione, intesa come l’elemento conoscitivo consistente nella previsione dell’evento, e dalla volontà, intesa come il momento volitivo del fatto di reato.

Il dolo, pertanto, consiste nella “volontà non coartata di compiere un fatto commissivo od omissivo che la legge contempla come reato, con la previsione dell'evento che deriva dalla propria azione e l'intenzione di produrlo con essa" (cfr. DE MARSICO, Coscienza e volontà nella nozione di dolo, Napoli, 1930, 147-148).

L’intenzionalità quindi “partecipa tanto della dimensione cognitiva, quanto, in modo peculiare, della dimensione volitiva: intenzione significa, pertanto, il distendersi del soggetto verso l'oggetto con piena consapevolezza intellettuale e con tutta la forza volitiva” (cfr. RONCO, Descrizioni penali d'azione, in Studi in onore di Marcello Gallo. Scritti degli allievi, Torino, 2004, 267 ss.).

Diversamente, il dolo di cui all’art. 1915 c.c., ai fini della perdita del diritto all’indennizzo, per costante dottrina e giurisprudenza, è il cd. “dolo d’inadempimento” che “non richiede lo specifico e fraudolento intento di recare danno allo assicuratore, essendo sufficiente la consapevolezza dell'indicato obbligo e la cosciente volontà di non osservarlo” (Cass. Civ., sez. III, 11.03.2005, n. 5435; in senso conforme, più di recente, Cass. Civ., sez. III, sent. 30.06.2015, n. 13355; Corte d’Appello di Campobasso, sentenza 12.07.2016).

Sul punto si è espresso anche il Tribunale di Treviso con la sentenza 14.7.2016, n. 339.

Nel caso di specie, un operaio serigrafista aveva citato in giudizio la società della quale era dipendente, esponendo di aver subito un infortunio sul lavoro mentre, con l’aiuto di un collega, stava spostando manualmente uno scaffale carico di aste metalliche.

Travolto dallo scaffale, l’operaio riportava un danno biologico permanente pari al 18% e una riduzione della capacità lavorativa specifica pari al 20%.

Il datore di lavoro convenuto aveva chiamato a sua volta in giudizio la propria assicurazione, chiedendo di esser manlevato dalla stessa da quanto fosse eventualmente riconosciuto a titolo di risarcimento al proprio dipendente.

La Compagnia assicurativa, però, costituitasi in giudizio, eccepiva la decadenza dell’assicurato dal pagamento dell’indennizzo ai sensi dell’art. 1915, primo comma c.c., per denuncia tardiva del sinistro.

Al termine della fase istruttoria, il Tribunale di Treviso ha accolto la predetta eccezione.

Il Giudice, infatti, ha osservato come, nel caso specifico, l’obbligo di denuncia a carico dell’assicurato fosse espressamente previsto nelle condizioni generali del contratto di assicurazione, oggetto di specifica approvazione da parte dell’assicurato.

Inoltre, era pure dimostrato che l’assicurato fosse a conoscenza del sinistro quantomeno dalla data in cui aveva dichiarato di non voler comparire davanti alla Commissione della DPL per il tentativo di conciliazione promosso dal lavoratore.

Ciò nonostante, l’assicurato aveva presentato la denuncia di sinistro tardivamente, dopo oltre quattro anni dalla verificazione dell’infortunio.

A fronte, pertanto, della comprovata conoscenza, da parte dell’assicurato, dell’obbligo di denuncia posto a suo carico nonché della cosciente volontà di non adempierlo, il Tribunale di Treviso ha rigettato la domanda di manleva proposta nei confronti dell’assicurazione, individuando nel datore di lavoro l’unico soggetto tenuto al pagamento del risarcimento riconosciuto al lavoratore.

In conclusione, dalla citata dottrina e giurisprudenza emerge chiaramente la differenza esistente tra il dolo “penale” ed il dolo “civile”.

Infatti, mentre nel primo caso l’agente si rappresenta e vuole l’evento dannoso, nel secondo non si richiede alcun intento di arrecare danno (all’assicurazione), ma la mera consapevolezza dell’obbligo di denuncia del sinistro e la volontà di non adempierlo.

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